quinta-feira, 25 de junho de 2015

Programma Pastorale del Vescovo Mo,ns. Mario Oliveri con riferimento alla stagione ecclesiale del Post-Concilio Vaticano II

 Anno della Fede
Albenga, 18-20 settembre 2012
Tre giorni del Clero 2012



Anno della Fede
Albenga, 18-20 settembre 2012
Tre giorni del Clero 2012

II PARTE:
INTERVENTO DEL VESCOVO

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I
Programma Pastorale del Vescovo, con riferimento
alla stagione ecclesiale del Post-Concilio Vaticano II
Nel messaggio indirizzato al mio Predecessore, appena nominato
Vescovo di Albenga – Imperia, esprimevo in maniera assai spontanea
il desiderio (e lì la parola stava per volontà) di continuare
con l’intera comunità ecclesiale il cammino soprannaturale di Fede e
Carità.
Ho adesso l’ occasione di commentare quelle parole, al cui contenuto
do fondamentale importanza, per il mio e il vostro ministero.
1. Il “continuare” non era una captatio benevolentiae del mio
Predecessore, ma corrisponde ad una necessità teologica nella realtà e
nell’attività della Chiesa. Continuità-immubilità della Fede, continuitàimmutabilità
di tutto quello che Cristo ha compiuto, voluto, annunziato,
istituito per il compimento del Mistero di Salvezza. Perciò ho scritto
nella Lettera quaresimale: “Noi abbiamo la specifica missione di riproporre
l’annuncio e l’opera di Cristo”.
Questo annuncio deve essere presentato con tutta la forza della novità
assoluta che esso comporta, in tutta la verità del suo aspetto soprannaturale,
nella certezza che nulla di più nuovo potrà essere annunciato
e portato agli uomini, senza nessun adattamento nella sostanza alla
realtà che cambia (gli adattamenti, o meglio le variazioni non possono
riguardare se non la forma espressiva).
Per me questa convinzione si basa su argomenti teologici e filosofici,
ma anche su una constatazione di fatto. Ho visto nel mio lavoro in diverse
parti della Chiesa il male che ha fatto e sta facendo l’avere abbastanza
spesso e da non pochi parlato, presentato e argomentato sul
Concilio Vaticano II come se si fosse trattato di un avvenimento di
discontinuità, di radicali cambiamenti, addirittura di rivoluzione, e non
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invece di sviluppo omogeneo, di continuità sostanziale, di rinnovato
impegno per “aggiornare” o adattare linguaggi, forme e modi di operare,
in modo da riproporre l’immutabile Verità di Cristo, le immutabili
realtà della Divina Rivelazione e del Mistero di Salvezza. Voi ricordate
il Commonitorium di San Vincenzo di Lerino che dopo aver annunciato
il grande principio dello sviluppo omogeneo del dogma (in eodem
sensu eademque sententia), ammoniva sulla necessità di fare massima
attenzione affinché cum dicas nove non dicas nova.
Da qualcuno mi è stato chiesto di dare alla Diocesi una Lettera
Pastorale “bella e forte” sul Concilio Vaticano II, per esortare e condurre
a vivere con grande e rinnovato entusiasmo la “stagione ecclesiale”
inaugurata da quel Concilio.
Ma se dovessi accogliere tale suggerimento, non potrei se non esplicitare
ciò che di positivo è avvenuto dentro tale “stagione ecclesiale”, ed il
positivo è tutto ciò che si è detto e fatto sul piano di uno sviluppo omogeneo
della Traditio Ecclesiae, con l’intento di trasmettere e di vivere in
piena fedeltà tutto ciò che da essa deriva, con l’impegno di trovare modi
e forme idonee a trasmettere e comunicare l’immutabile Verità di Cristo,
le immutabili realtà della Divina Rivelazione e del Mistero della Salvezza.
In pari tempo dovrei mostrare che non tutto ciò che è stato detto e
fatto durante la “stagione ecclesiale” inaugurata dal Concilio è avvenuto
come sviluppo omogeneo, ma anche e – sotto certi aspetti – soprattutto
come discontinuità, quasi come se il Concilio avesse segnato una differenza
sostanziale e profonda tra “il prima del Concilio” ed “il dopo
Concilio”, come se non soltanto alcuni modi e forme potessero e dovessero
essere cambiati o migliorati, ma come se quasi tutto il modo di
essere Chiesa, o come se quasi tutta la Pastorale della Chiesa, o tutta
la sua Missione pastorale (evangelizzante, redimente, santificante),
potessero o dovessero essere cambiati.
Penso di poter dire, in base a quanto ormai conosco di questa Diocesi
dopo ventidue anni della mia presenza e del mio ministero in essa, che
questo secondo modo di realizzare e di vivere la “stagione ecclesiale”
inaugurata dal Concilio non si è verificato – almeno pesantemente – nella
Chiesa particolare di Albenga-Imperia, e ciò per la saggezza, certamente
dei miei predecessori, ed anche per quella di quattro Docenti del
Seminario che, pur aperti alla novitas in accidentalibus , non hanno
abbandonato la vera continuità sostanziale in tutta la Dottrina della
Chiesa, rimanendo fedeli al principio di sviluppo omogeneo ed alla
necessità di non dire nova quando si dice nove, sapendo bene che chi vuol
dire nove a tutti i costi è spesso perché vuole dire davvero cose nuove sul
piano della Filosofia perenne, della Fede, della Dottrina, della Teologia.
Desidero ricordarli nominalmente: i compianti Mons. Palmarini, Mons.
Chiappe, Don Ranoisio e Mons. Sappa, grazie a Dio ancora vivente.
La “riforma” (o “aggiornamento”) voluta ed inaugurata dal Concilio
Vaticano II, riguardava solamente i modi espressivi e comunicativi
della perenne verità e realtà della Chiesa; verità e realtà stabilite da
Cristo stesso, Eterno Verbo di Dio Incarnato, e promulgate e vissute nella
loro pienezza dagli Apostoli. È ad esse, e sempre ad esse, che occorre
riferirsi quando si vuol fare una giusta “ermeneutica” del Concilio
Vaticano II e del contenuto dei suoi Documenti. Non si possono re-interpretare
le verità e le realtà fondanti, come sono state insegnate, comunicate
e trasmesse dalla perenne Traditio Ecclesiae, alla luce di certi passi
dei Documenti del Concilio, che al sereno ragionamento di non pochi,
suonano come un poco sfasati rispetto al Magistero precedente; ma questi
passi debbono essere ricondotti a perfetta concordanza con tutta la
Traditio Ecclesiae: il Concilio Ecumenico Vaticano II non è tutta la
Traditio Ecclesiae, ma non può se non esserne la continuità; non può
se non esserne “omogeneo sviluppo”.
2. Il continuare “insieme” indica la necessità di radicale comunione
in seno alla Chiesa, in seno particolarmente ai sacri ministeri totalmente
orientati alla comunione della vita divina in Cristo, in seno al
Presbiterio, tra il Presbiterio e il Vescovo: l’unità di origine e di finalità
dei sacri ministeri deve anche guidare l’unità dell’azione pastorale,
che pur si esplica in diversi modi. Il nihil sine episcopo, quia sine episcopo
ecclesia non datur, che ho richiamato il giorno del mio ingresso in
Diocesi, l’ho visto sostanzialmente e gioiosamente osservato, con tutti i
frutti che ne derivano per l’intera comunità ecclesiale diocesana.
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3. La parola “cammino” sottolinea la nostra dimensione pellegrinante,
ma la rotta non si può cambiare, per fede sappiamo da dove veniamo
e dove siamo diretti, non si tratta di inventare nuove direzioni. La
dimensione pellegrinante sta altresì ad indicare l’incompletezza di realizzazione
di vita soprannaturale, la transitorietà, la non definitività del
nostro stato presente, possediamo solamente in germe, solamente in
spe; continuiamo a portare e a sentire le conseguenze del peccato fino a
cadere, anche se siamo stati radicalmente liberati dalla schiavitù e dall’ignoranza.
4. L’aspetto che mi stava e che mi sta particolarmente a cuore di mettere
in evidenza è la qualificazione di “soprannaturale” riferita alla vita
cristiana, alla natura e all’attività della Chiesa, al ministero sacro. Nulla
può sconvolgere o stravolgere tanto la comprensione della realtà
della Chiesa e la qualità della sua azione quanto l’offuscamento del
senso del soprannaturale od un errato concetto del soprannaturale.
Privata della sua dimensione soprannaturale, od anche solo della sua connotazione
soprannaturale, la nostra azione di Chiesa, di cristiani, di ministri,
decade, si colloca fuori del suo ordine, del piano di Dio, del piano
della Redenzione e della Grazia. Tutto dipende dalla vocazione, assolutamente
gratuita, alla vita divina, per nulla dovuta all’uomo nella sua
natura. Il soprannaturale non è il completamento od il compimento massimo
di ciò che è insito nella natura dell’uomo; è un quid davvero novum.
Ed ecco allora che tutto si colloca nell’ambito della Fede e della
Grazia. Tutto si colloca nell’ambito della Fede e della Carità;
dell’Evangelizzazione e dei Sacramenti. L’Evangelizzazione è in ordine
alla Fede: l’una e l’altra hanno per oggetto centrale il Mistero di
Cristo, di Cristo Figlio di Dio Incarnato, del vero Dio e del vero Uomo;
del Cristo Verbo Incarnato e Redentore; del Cristo morto e risorto. La
Fede e i Sacramenti sono ordinati alla Grazia, cioè alla vita divina,
alla vita nuova in Cristo, ed alla Carità che è la dimensione operativa
della vita nuova, della vita divina generata in noi dallo Spirito
Santo; dall’essere nuovo deriva la capacità nuova di amare Dio e di
amare i fratelli in Gesù Cristo, di agire in modo nuovo di fronte ai fratelli,
di fronte a tutto.
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Al di fuori di questo contesto, di queste realtà portanti essenziali
(Fede, Grazia, Carità, Evangelizzazione, Sacramenti, centralità del
Mistero di Cristo, centralità della vocazione soprannaturale che può
realizzarsi solamente in Cristo, impossibilità di entrare nel Mistero
di Salvezza al di fuori della Fede e della realtà della Chiesa), non ha
senso parlare di Pastorale della Chiesa, non ha senso qualsiasi esercizio
del ministero sacro, non ha senso parlare di azione di Chiesa in quanto
Chiesa, al servizio dell’uomo.
Ci si collocherebbe in un contesto umano, solamente umano e quindi
al di fuori del Mistero di Salvezza. Non avrebbe neppure senso – ed il
Papa Giovanni Paolo II l’ha solennemente ricordato con l’Enciclica
Centesimus Annus – parlare di dottrina sociale della Chiesa. Come
potrebbe la Chiesa dire come dev’essere organizzata la vita dell’uomo in
questo mondo se dimenticasse che il senso e la finalità dell’uomo si colloca
fuori di questo mondo? Con quale diritto la Chiesa, in quanto
Chiesa, potrebbe dare orientamenti soltanto terreni?
Come potrebbe collocarsi solamente sul piano della ragione, quando
essa ha – per divina Rivelazione – una visione globale, piena, della realtà
e dei destini della persona umana chiamata a realizzare una vocazione
soprannaturale?
* * *
Detto questo, è detto molto, ma non tutto. Si apre il campo dell’attuazione
e delle attuazioni pastorali, il campo dei modi, dell’organizzazione
concreta, modificabile, adattabile, anzi da modificarsi quando
occorra, quando sia opportuno; ma neppure quella può essere in stato
di continua modificazione, altrimenti l’impegno di modifica del contingente
finisce per assorbire del tutto o quasi le energie che vanno rivolte
alle cose che contano sempre e dovunque, alla sostanza.
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II
La catechesi nella stagione ecclesiale
del Post Concilio Vaticano II
La pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica con la
Costituzione Apostolica di Giovanni Paolo II Fidei Depositum, in data 11
Ottobre 1992, ha significato senza esitazione:
l°) che è possibile e necessaria una enunciazione certa della verità
rivelata;
2°) che tale enunciazione determina la conoscenza della verità rivelata:
ne è un veicolo ed uno strumento sicuro ed indispensabile;
3°) che la proclamazione e la trasmissione della verità è di primaria
importanza ed ha valore originante su tutta l’azione formativa della vita
e della vita cristiana;
4°) che non è possibile avere delle volontà decisamente e stabilmente
rivolte al bene se esse non sono illuminate e sorrette dalla conoscenza del
vero;
5°) che è possibile avere delle formulazioni della verità rivelata che
non dipendono da questa o da quella cultura, ma che sono tali da poter
illuminare ogni vera cultura, cioè ogni vera tensione verso la verità, ogni
vera ricerca della verità.
La pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, con tutti questi
significati ed implicanze, non è caduta in un clima ed in un terreno
pienamente ricettivi, poiché alcuni orientamenti sul piano filosofico-teologico
e sul piano della vita concreta della Chiesa, sul piano pastorale,
camminavano ormai su altri binari, segnati dalle seguenti caratteristiche:
1°) un desiderio ed una ricerca della novità ad ogni costo, anche in
quegli ambiti dove la novità non può essere se non la ri-proposta di ciò
che è sempre novum, perché si riferisce alla novità assoluta di Gesù
Cristo, del Mistero di Gesù Cristo, di tutto ciò che Egli è, di tutto ciò che
Egli ha detto e fatto.
Questo desiderio incontrollato del novum aveva spinto il movimento
catechistico (se così si può chiamare tutto il fervore di rinnovamento
della catechesi) a delineare dei progetti catechistici nuovi addirittura
negli obiettivi, nei contenuti e nel metodo.
Ora, è davvero difficile poter pensare ad una vera catechesi che dopo
il Vaticano II possa avere degli obiettivi e dei contenuti nuovi (cioè
diversi, cioè non in continuità od in sviluppo armonico con i contenuti e
gli obiettivi precedenti), se non a costo di una rivoluzione che tocchi la
fede stessa, nella sua sostanza e nei suoi contenuti, in ciò che forma l’oggetto
della fede; che tocchi la nozione stessa di fede, di grazia, di verità
rivelata, ecc., e che quindi tocchi tutti i mezzi attraverso i quali si genera
e si trasmette la fede, che riguardano proprio l’ambito della catechesi.
I mezzi o strumenti catechistici, prodotti sotto l’influsso di una simile
impostazione, non potevano certamente essere i più adatti a suscitare ed
a nutrire una fede che sia la vera adesione al vero contenuto della
Divina Rivelazione.
Penso sia di facile comprensione che se si rinnega il principio che
nella Chiesa non possono aversi rivoluzioni o cambiamenti radicali, né
sul piano dei contenuti della fede né su quello dei mezzi fondamentali
della trasmissione della fede, tutto perde stabilità e consistenza, tutto
sfuma verso l’indefinito, verso il dubbio e l’incertezza, verso il relativismo
ed il soggettivismo.
2°) Insistenza su una qualità o bontà di vita, e di vita cristiana, che
non dipende più dalla conoscenza del vero, della verità rivelata, come
priorità da perseguire affinché anche la volontà si muova al bene e tutto
l’essere dell’uomo sia nello stato di giustizia e di santità.
Da ciò deriva l’idea che la catechesi, anziché essere innanzi tutto
(anche se ovviamente non esclusivamente) trasmissione di una conoscenza
di fede della verità rivelata, di ciò che Dio dice all’uomo affinché
l’uomo giunga sino alla visio Dei, sia invece essenzialmente comunicazione
di una esperienza di vita, legata più che alla conoscenza del vero ad
un buon “sentire”, a delle buone disposizioni, al trovarsi bene in un determinato
modo di rapportarsi agli altri.
Ecco allora la svalutazione dell’importanza della catechesi come istruzione,
come illuminazione, come apprendimento della verità. Nella catechesi
diventa preminente il metodo, il come trasmettere delle buone esperienze.
I Catechismi diventano prolissi, molto descrittivi, anziché enunciativi
di contenuti ben precisi.
Viene abbandonato il principio secondo il quale nihil volitum quin
precognitum. Si pensa di poter avere una volontà che ami ciò che è
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buono, che si orienti al bene, senza essere illuminata dall’intelletto, da
una vera conoscenza di ciò che è buono e di che cos’è davvero il bene.
3°) tutto il discorso su Dio, sulla Verità rivelata, sulla Parola di Dio,
diventa funzionale rispetto all’uomo: la realtà e l’esistenza dell’uomo
diventa centrale, tanto da piegare ad essa tutto il resto.
Così si spiega come si sia giunti ad affermazioni come questa: “La
parola di Dio deve apparire ad ognuno come apertura ai propri problemi,
una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori
ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni” (cfr “Il rinnovamento
della catechesi”, 1970, n. 52). In una simile visione delle cose si
fa naturalmente strada il funzionalismo e l’esistenzialismo, e soprattutto
si perde la nozione stessa della gratuità della Divina Rivelazione e
della chiamata dell’uomo ad una realtà assolutamente nuova, per
nulla dovuta all’uomo, la chiamata cioè totalmente gratuita alla partecipazione
alla vita divina, alla figliolanza divina, all’adozione a figli, alla
visio Dei.
L’attenzione preminente e suprema a Dio, alla sua azione creatrice ed
elevante, al Mistero della sua Volontà che si rivela nell’Incarnazione del
Figlio e che trascende infinitamente la natura dell’uomo, si focalizza
sulle domande dell’uomo, sui suoi problemi, sulle sue aspirazioni. Il
totalmente nuovo che viene offerto all’uomo per mezzo di Gesù Cristo ed
in Gesù Cristo diventa semplice allargamento ai propri valori.
In una tale visione si arriva a mettere sullo stesso piano fedeltà a Dio
e fedeltà all’uomo, mentre la seconda si realizza soltanto se e nella misura
in cui all’uomo viene comunicata la verità di Dio, la grazia della giustificazione,
della vita nuova, della rigenerazione che viene dall’alto,
della salvezza e della redenzione.
L’indirizzo di diversi strumenti catechistici si è andato piegando a
questo connubio tra antropologismo ed esistenzialismo.
4°) progressiva e consistente confusione (od assenza di distinzione)
tra natura e grazia, tra carne e spirito (cfr discorso di Gesù a
Nicodemo, Gv 3, 1-7), tra ciò che appartiene alla natura dell’uomo e ciò
che gli è dato come puro dono di grazia, tra ciò che appartiene a questo
mondo e ciò che appartiene al regno dei Cieli, tra ciò che rientra nella
ricerca del regno di Dio e della sua giustizia e ciò che fa parte del
“sovrappiù” che sarà dato in aggiunta (cfr Mt 6,33; Lc 12,31).
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5°) - in alcune parti della Chiesa si è giunti a spingere talmente l’antropologismo
e l’esistenzialismo, e la confusione tra natura e grazia (con
il sopravvento della prima) sì da prospettare gli obiettivi della catechesi
anziché orientati alle finalità soprannaturali ultime, ad una buona
vita dell’uomo all’interno dell’orizzonte terreno (e questi sono ovviamente
degli eccessi, che snaturano la catechesi nella sua vera essenza,
perché si collocano al di fuori di una visione e di un contesto di fede).
Tutti questi orientamenti, presenti ed operanti nella vita della Chiesa
(benché non ovunque e talora non in maniera immediatamente evidente),
non hanno permesso sempre e dappertutto che la pubblicazione del
Catechismo della Chiesa Cattolica generasse tutti quei frutti che sono
inerenti alla sua natura ed alla sua importanza. È vero che alcuni strumenti
catechistici sono stati ritoccati e rivisti, tenendo conto del contenuto
e del significato del Catechismo della Chiesa Cattolica, ma ciò non
ha inciso sufficientemente sulle impostazioni che continuano a privilegiare
una visione antropologica ed esistenziale, ed i tentativi di trasmissione
di esperienze e non tanto di verità e del novum assoluto che inerisce
alla Divina Rivelazione.
Per quanto riguarda l’Italia, va senz’altro detto che il Catechismo della
Chiesa Cattolica, pubblicato allorché l’impostazione del progetto catechistico
italiano era ormai in fase avanzata, fu inteso ed accolto come
testo effettivo di riferimento per i contenuti catechistici, tanto che i due
ultimi catechismi della Conferenza Episcopale Italiana (il catechismo
degli adulti e quello dei giovani) hanno evidenziato - mediante rimandi
ad ogni paragrafo il legame con il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Personalmente non saprei dire se siano stati colti tutti i significati della
pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che ho evidenziato
all’inizio della mia comunicazione.
* * *
Quanto ai progetti ed alle proposte per il futuro, parlando in generale,
penso debbano andare nel senso del superamento di tutti quei tentativi
catechistici che pur nati con il sincero intento di ridire i contenuti della
fede dentro i canali comunicativi di oggi, e di costruire ponti tra la fede
e la vita, si sono lasciati influenzare da quegli orientamenti filosofico32
teologici che ho descritto come non rispettosi della Traditio Ecclesiae e
quindi come inefficaci per una sicura traditio fidei.
Il Direttorio Generale per la Catechesi, pubblicato appena cinque
anni or sono, e certamente non ancora ben assorbito in tutto il suo contenuto
ed in tutte le sue implicanze, contiene delle idee che potranno e
dovranno sostenere la trasmissione della fede all’interno di tutta la missione
della Chiesa.
Mi sembra di poter rilevare dal Direttorio alcune preziose indicazioni
ed anzi alcune necessità.
1°) La Parola di Dio come anima di ogni catechesi. Il discorso di
fede proposto all’uomo non può partire da quello che l’uomo scopre di se
stesso dai suoi problemi e situazioni esistenziali, ma da quello che Dio
dice all’uomo; da quello che Dio dice all’uomo nel suo Figlio, nel suo
Verbo Incarnato, dentro la sua Chiesa;
2°) La trasmissione o comunicazione della fede avviene congiuntamente
con la parola, con la vita sacramentale e con la vita secondo
lo Spirito e secondo la carità; ma per la costituzione stessa della persona
umana, va rispettato il primato della verità, per cui resta di fondamentale
e primaria importanza l’enunciazione chiara ed obiettiva dei
contenuti della fede (non è possibile una fidæs qua che non abbia un preciso
contenuto; una fede dubbiosa od incerta nei contenuti non potrà mai
determinare un corretto e giusto modo di vivere);
3°) Il rapporto tra fede e vita è proprio quello tracciato dal cap. 3, v.
16 del Vangelo di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo
Figlio Unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la
vita eterna”;
4°) La formazione della personalità del credente avviene proprio
mediante un corretto e completo intreccio tra: intelligenza (verità, dottrina
teologia…) e volontà-atteggiamenti (amore a Gesù Cristo ed al suo
Vangelo, appartenenza ed amore alla Chiesa, amore alla vita sacramentale,
ecc…) e comportamento (la vita morale del credente, testimonianza
mediante le opere della fede e della carità...);
5°) La necessità di far entrare la formazione catechistica in tutta l’estensione
della vita del cristiano: la catechesi abbraccia tutta la durata
della vita dell’uomo; ma non è irrazionale una intensificazione della catechesi
proprio nell’età della formazione della persona umana (già a parti33
re dall’infanzia e quindi nella fanciullezza e nell’adolescenza);
6°) L’attività di annuncio - genericamente chiamata catechistica - date
le mutate situazioni rispetto all’antica implantatio, richiede una doppia
specificazione: attività di primo annuncio e attività di consolidamento.
In alcuni casi la doppia attività viene svolta in momenti diversi e su
soggetti diversi. In altri casi le due attività debbono intrecciarsi, in quanto
rivolte a soggetti che pur essendo battezzati non vivono in situazioni
permeate dalla fede;
7°) La qualità della catechesi dipende in gran parte dalla qualità
dei catechisti, dalla loro formazione seria e continuativa, dalla loro vera
e sicura conoscenza della fede, dalla loro qualità di vita cristiana e di
vero inserimento in tutta la vita della Chiesa, ed ovviamente anche dalle
loro qualità pedagogiche che non siano soltanto accorgimenti umani,
ma che scaturiscano da tutta la realtà cristiana.
A me pare che i due documenti – il Catechismo della Chiesa Cattolica
ed il Direttorio Generale per la Catechesi – richiamino con grande energia
al primato della verità, al primato della Grazia, al primato di Dio e
della sua Parola, all’assoluta necessità dei mezzi della grazia per la trasmissione
della fede, alla necessità della chiarezza dell’insegnamento
circa i contenuti veritativi della Divina Rivelazione; ed altresì al primato
della obiettività del vero e del bene nei confronti della soggettività e dell’esistenzialismo.
34
III
Ambiti pastorali che richiedono
concordantia mentium et voluntatum
La terza parte del mio intervento tocca alcuni aspetti particolari dell’esercizio
del nostro ministero sacerdotale e della nostra testimonianza
sacerdotale, che richiedono concordantia mentium et voluntatum.
1. LITURGIA
La concordantia mentium et voluntatum in ambito liturgico deve condurre
ad una concezione della Liturgia e ad un modo di celebrarla che
dicano con massima chiarezza che la Liturgia è veramente la fonte, il
centro ed il vertice di tutta l’azione della Chiesa, è la massima espressione
di tutto ciò che la Chiesa è, è la massima realizzazione di tutto
ciò che Essa compie. Ne consegue che il Sacerdote deve avere la più
grande ed attenta cura nel condurre i fedeli alla comprensione della
Liturgia ed alla partecipazione alla vita liturgica della Chiesa, senza
della quale il cristiano non può vivere da cristiano, secondo la fede e la
carità. Deve avere la più grande ed attenta cura nel preparare le celebrazioni
liturgiche e soprattutto la celebrazione della Santa Messa; deve
avere la più grande ed attenta cura nello svolgere le celebrazioni con
perfetta fedeltà alle norme e regole liturgiche.
a) Richiamo ancora la necessità di un rispetto convinto delle disposizioni
stabilite dall’Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti Redemptionis Sacramentum (su una buona
parte di esse ho attirato l’attenzione nell’Appendice dell’opuscolo “La
Divina Liturgia”). In particolare ora chiedo che si abbia fedele osservanza
delle disposizioni che regolano il ricorso durante le Celebrazioni
liturgiche, ai ministeri istituiti del Lettorato e dell’Accolitato, ed il
ricorso all’aiuto di Ministri straordinari della Comunione. Non siano
questi, e neppure gli Accoliti, a distribuire la Santa Comunione se non
nei casi di vera necessità, e cioè in assenza di Presbiteri o Diaconi che
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possano coadiuvare il Sacerdote Celebrante, ed in presenza di un tale
numero di fedeli comunicanti che prolungherebbe di molto – oltre il
ragionevole – il tempo della Santa Comunione.
Se in alcune Sante Messe vi è vera necessità di più Ministri della
Comunione, è necessario curare che vi sia l’aiuto di Ministri
Ordinari (Sacerdoti e Diaconi) o Straordinari (Accoliti e Ministri
straordinari della Comunione, debitamente preparati e che appaiano
come tali dal loro abito liturgico appropriato). Non spetta al Parroco
od al Sacerdote Celebrante istituire Ministri straordinari della
Comunione. Solamente nel caso in cui il Sacerdote celebrante si trovi
di fronte ad una vera necessità, eccezionale, imprevista ed improvvisa,
può ricorrere – per quella sola volta – all’aiuto di un membro
dell’Assemblea, che possa aiutare a distribuire la Santa Comunione in
maniera degna ed appropriata, e con somma venerazione.
b) A riguardo del modo di distribuire la Santa Comunione ed alla
facoltà attribuita ai fedeli, in forza dell’Indulto, di ricevere la Santa
Comunione anche sulla mano, occorrerebbe aprire un ampio capitolo,
per rendersi conto che la ricezione sulla mano – anche quando
avviene in maniera appropriata – non è il modo più conveniente di
ricevere la Santa Comunione; lo è invece la ricezione sulla lingua,
come era diventata abitudine sacrosanta da secoli.
Il documento del Papa Paolo VI, che concedeva l’Indulto, attribuendo
alle Conferenze Episcopali la possibilità di decidere se dare ai
fedeli la facoltà di chiedere la Santa Comunione sulla mano, metteva
bene in risalto, anzi insisteva, nel proporre le ragioni della grande
convenienza della Santa Comunione sulla lingua, nella bocca; questo
modo infatti meglio esprime la verità di ciò che si riceve (o
meglio: di Chi si riceve); più chiaramente esprime la fede di chi si
accosta alla Santa Comunione: è più efficace nel generare nell’animo
del comunicando somma venerazione ed adorazione, dovute al
vero Corpo e al vero Sangue del Signore; salvaguarda assai meglio
dal pericolo di possibili profanazioni delle Sacre Specie; evita la
facile dispersione di frammenti della Sacra Particola (a tale proposito
basta ricordare quanto afferma la sequenza del Lauda Sion: fracto
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demum sacramento, ne vacilles sed memento: tantum esse sub fragmento,
quantum toto tegitur).
Su tutto questo vanno istruiti i fedeli, affinché poi con sicura
coscienza possano accedere alla Santa Comunione con la dovuta
preparazione interiore, con la necessaria fede, ed anche nel modo
esterno più confacente al Santissimo Corpo e Sangue del Signore.
(Su questo delicato argomento è in preparazione un opuscolo, che
farò avere ai Sacerdoti, per essi e per i fedeli).
c) Un altro richiamo riguarda la cura di tutto ciò che anche visibilmente
indica la grandezza e la verità di ciò che si celebra; ha quindi
importanza l’uso degli abiti e dei paramenti liturgici, che ciascun
ministro dell’Altare deve rivestire in modo completo, secondo il
grado del proprio ministero. Non v’è, per esempio, alcun ragionevole
motivo per cui il Celebrante della Divina Eucaristia tralasci in qualche
circostanza di indossare la stola o la pianeta o casula.
Ma il Sacerdote non è tale soltanto quando celebra i Divini
Misteri, la Liturgia, i Sacramenti, o spezza il pane della Parola, della
Verità, come ministro ordinato; lo è in ogni momento, e perciò nella
sua identità sacerdotale e ministeriale egli deve sempre presentarsi
agli altri, a chiunque altro; nella sua identità egli deve apparire,
fatto spectaculum di fronte al mondo. Ha dunque la sua importanza,
eccome!, il suo modo di vestire, la sua fedeltà all’abito che lo indica
come uomo consacrato, totalmente dedito al Regno di Dio.
Non si può mai dimenticare che l’abito ecclesiastico (talare o
clergyman nella sua completezza) richiama innanzitutto a chi lo
porta la sua identità, della quale non può mai spogliarsi; poi, esso è
indicativo della sua identità nei confronti degli altri: lo rende visibile
in ciò che egli è e nella sua pubblica missione; infine è protettivo,
difensivo, affinché sia salvaguardata l’identità di essere e di missione
di chi lo indossa.
Queste considerazioni dovrebbero, mi pare, bastare per invogliare
al pieno rispetto ed alla fedeltà al nostro abito ecclesiastico.
37
d) Assetto del presbiterio, nel quale opera il Ministro sacro, per i
Divini Misteri e la santificazione dei fedeli.
Vi è ancora un ambito, all’interno di tutto ciò che concerne la
Liturgia, che richiede concordantia mentium et voluntatum all’interno
del Presbiterio e tra Presbiterio e Vescovo: è l’ambito affrontato dal
Vescovo nella “Tre Giorni” del 2007 ed esposto poi nell’opuscolo
“La Divina Liturgia”; esso tocca sia la dottrina sia le applicazioni delle
norme che regolano la celebrazione della Divina Liturgia; tocca anche
l’assetto dei presbiterii e la posizione dell’altare dentro i presbiterii.
Non mi stancherò di riproporre alla vostra attenzione ed osservanza
tutto il contenuto di quell’opuscolo. Per quanto riguarda l’assetto
dei presbiterii e la posizione in essi dell’altare, incarico qui dinanzi a
voi il Vicario Generale del compito di verificare se in tutte la
Parrocchie le disposizioni che avevo date (in conformità alle istruzioni
della Santa Sede, impartite nei primi anni dell’avvio della Riforma
Liturgica) sono state applicate. Se in qualche parte della Diocesi ciò
non è ancora avvenuto, il Vicario Generale ne curerà la fedele esecuzione,
che ormai è opportuno che avvenga senza esitazioni.
2. CATECHESI – AMMISSIONE AI SACRAMENTI
Ferma è la nostra convinzione che la catechesi e la partecipazione
alla Divina Liturgia ed ai Sacramenti sono strettamente collegate ed
entrambe hanno come scopo ultimo il condurre il cristiano all’adorazione
a Dio, al divenire offerta gradita a Dio in Cristo Gesù, all’adozione a figli
di Dio. Lo scollegamento tra le due realtà, tra i due ambiti dell’azione
pastorale, compromette gravemente il buon “successo” della vita cristiana,
o meglio: la buona e vera realizzazione della vita cristiana.
Ci siamo interrogati più volte per constatare se questo collegamento
strettissimo esiste nella vita delle nostre Parrocchie, se tutti gli operatori
pastorali, Sacerdoti e Diaconi e loro Collaboratori (catechisti, educatori,
ministri e ministranti nella Sacra Liturgia, ecc…) operano con convinzione,
con tutto l’animo e le forze, affinché tutta l’azione pastorale coo38
peri, congiunta in tutte le sue espressioni, alla pienezza della vita del cristiano,
alla pienezza di vita nella fede, nella grazia, nella carità, nella
speranza di vita eterna. Dobbiamo continuare ad interrogarci, apportando
poi tutte le correzioni necessarie, se sotto qualche aspetto l’azione
pastorale non è adeguata ed appropriata per il raggiungimento del fine.
Fatta questa considerazione di primaria importanza, desidero richiamare
la vostra attenzione sulla necessaria buona esecuzione di due particolari
richieste delle Costituzioni Sinodali.
a) L’ammissione ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana deve avvenire
dopo adeguata e sufficiente preparazione catechistica: dei Genitori
e dei Padrini, per l’ammissione dei bambini al Battesimo; dei fanciulli
e dei ragazzi per la loro ammissione all’Eucaristia e alla Cresima. È
evidente che la preparazione va valutata nella sua globalità e nella sua
avvenuta interiorizzazione, e non principalmente sull’osservanza di
adempimenti esteriori, che sono indispensabili tanto quanto valgono
per la preparazione dell’animo, della mente e della volontà.
Il tutto va valutato dal Sacerdote – Parroco, con l’aiuto dei suoi
collaboratori, sempre con molta carità e con grande serenità di giudizio.
Il prendere in considerazione ragionevoli motivi per delle eccezioni,
non è andare contro la bontà delle regole, ma dare dovuta attenzione
alle situazioni in cui possono venirsi a trovare le persone.
Vi possono essere talvolta anche motivi perché dei fanciulli e dei
ragazzi della Prima Comunione o della Cresima siano ammessi a tali
Sacramenti al di fuori della propria Parrocchia, ma nessuno sia
ammesso senza aver prima avuto certezza morale della sua buona
e regolare preparazione; e ciò può avvenire soltanto se il Parroco al
quale viene richiesto di ammettere fanciulli o ragazzi di altra
Parrocchia non dà positiva risposta prima di aver contattato e di essersi
inteso con il Parroco della Parrocchia di provenienza.
È importante che in tutte le Parrocchie si osservino i tempi stabiliti
dal Sinodo Diocesano per la preparazione ai Sacramenti dell’Iniziazione
cristiana.
39
b) Infine, sento di dovervi riproporre una volta di più la necessità di concordantia
mentium et voluntatum nell’assai delicato campo della cura
pastorale di tutti coloro che non si trovano nelle condizioni obiettive
e soggettive richieste per essere ammessi alla partecipazione
corretta e fruttuosa ai Santi Sacramenti. Mi riferisco in particolare
ai conviventi come se fossero uniti in matrimonio ed in realtà non lo
sono mai stati, ed altresì ai conviventi che prima erano uniti in vero
matrimonio e quindi separatisi o divorziati non possono accedere ad
un nuovo Matrimonio – Sacramento.
La cura pastorale nei loro riguardi che suggerisse al Parroco, al
Sacerdote, di ammetterli ai Sacramenti nonostante la loro irregolare
obiettiva posizione, non sarebbe una cura pastorale ma un venir meno
all’impegno costante di portare il cristiano, o di riportare il cristiano,
a vivere in vera fedeltà alle esigenze della vita cristiana, come
si deducono dal Vangelo, dall’insegnamento dell’unico Maestro e
Signore; come si deducono dalla Traditio Ecclesiae; come si deducono
dalla splendida verità che l’agire, il comportamento del cristiano
non possono contraddire la verità del suo essere “nuova creatura in
Cristo”: è la dignità di figli di Dio, che si raggiunge per fidem et sacramenta
(ed inizialmente per mezzo del Battesimo) che deve regolare
l’agire, il vivere, il comportamento.
I Sacramenti vanno rispettati nella loro verità, altrimenti non
trasmettono la grazia che significano, non producono più i loro effetti
di grazia. Ad esempio: il Sacramento della Penitenza o della Confessione
non dà la grazia della riconciliazione con Dio, la grazia del perdono
di Dio, il dono della reviviscenza della grazia battesimale, se non
a chi ha il vero pentimento dei suoi peccati ed il vero proposito di
evitare il peccato e le occasioni o situazioni di peccato, di non obiettiva
correttezza morale.
Di tutto ciò si può e si deve ragionare con coloro che si trovano in
condizioni obiettive che non permettono di ricevere i Sacramenti nella
loro verità e nella loro efficacia soprannaturale. Il buon pastore li com40
prenderà nelle loro difficoltà, ma se è condotto da carità pastorale non
farà, non dirà nulla che possa condurre chi è in una situazione irregolare
a pensare che egli può considerarsi un buon cristiano nonostante
la sua situazione di vita.
Non è neppure pastoralmente accettabile che coloro che si trovano
nelle condizioni sopra descritte siano ammessi all’ufficio di
padrino o madrina dei battezzandi o dei cresimandi. Sarebbe infatti
una contraddizione dare un padrino od una madrina che per la loro
condizione di vita non possono essere esempio, stimolo e guida per i
loro figliocci. Il significato e la finalità di affiancare ai genitori dei
padrini, nel loro grande compito e dovere di educazione dei figli, è
proprio quello di essere esempio, stimolo e guida all’autentica vita cristiana.
Quando con chiarezza e con pazienza e rispetto delle persone si
spiegano le ragioni dell’agire pastorale della Chiesa, generalmente la
ragionevolezza delle norme e delle regole viene compresa, ed una giusta
conoscenza della verità conduce abitualmente ad una migliore attitudine
dell’animo e a convinta obbedienza da parte della volontà.
* * *
In tutta la nostra azione pastorale ed in tutta la nostra vita sacerdotale,
il Signore ci conceda di formare in verità “un cuor solo ed un’anima
sola”.
Albenga, 19 Settembre 2012

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